«Il diritto alla privacy, ma meglio ancora alla protezione dei dati, è un diritto collettivo, alla cui costruzione tutti quanti dobbiamo contribuire». Augusta Iannini, vice presidente dell’Autorità garante per la privacy, lancia un messaggio chiaro alla vigilia dell’incontro organizzato dalla Questura di Brescia nell’Aula Magna del Dipartimento di Medicina dell’Università degli Studi di Brescia sull’uso consapevole del Web. Anticipando a Bresciaoggi i temi che affronterà nel suo intervento, Iannini sottolinea che la maggior lacuna in tema di privacy è «il non aver compreso che proteggere i propri dati personali non è solo un diritto, ma un compito essenziale che non possiamo eludere  in un’epoca nella quale i dati sono il bene primario, il nuovo vero motore dell’economia, un fondamentale patrimonio per gli Stati».

I giovani sono coloro che si muovono con maggior disinvoltura nel mondo digitale. La confidenza che hanno con internet e i social network è proporzionale alla consapevolezza dei rischi che corrono divulgando fotografie e dati?

«I giovani vivono in costante simbiosi con smartphone e dispositivi mobili. Ma la conoscenza di questi strumenti si ferma all’aspetto  di più immediato utilizzo e soddisfacimento di bisogni. Non sono in grado di rappresentarsi i rischi che possono derivare da un uso disinvolto  delle nuove forme di comunicazione. Una foto che oggi può apparire divertente in un futuro potrebbe creare problemi al momento di cercare un posto di lavoro».

Solitamente si dividono gli utenti tra nativi digitali e immigrati digitali. Ritiene che questi ultimi, che hanno imparato a usare la tecnologia in età adulta, siano più a rischio rispetto ai giovani o maggiormente consapevoli su ciò che va o meno condiviso? Penso ad esempio a molti genitori che pubblicano foto dei figli minorenni…

«L’esperienza del Garante per la privacy dimostra che i genitori sono in larga parte ben poco consapevoli dei rischi di un uso poco attento se non spregiudicato della rete, in particolare dei social media. Un recentissimo intervento dell’Autorità ha riguardato una madre che ha pubblicato su Facebook con alcuni “amici” due sentenze che riportavano non solo il nome della figlia, ma dettagli riguardo al vissuto familiare e a disagi personali della piccola. Il Garante ha fatto rimuovere il post. In altri casi, padri e madri spesso non si rendono conto dei rischi a cui espongono i figli postando le loro foto, magari al mare, o rivelando particolari apparentemente neutri».

In Italia si può affermare ci sia una cultura della privacy solida e diffusa? O ritiene vada costruita?

«Il cammino è a mio avviso ancora lungo. Alcune  ricerche ci spiegano che gli italiani sono realmente preoccupate per la loro privacy, soprattutto di quella online, ma poi non agiscono di conseguenza mettendo in atto comportamenti  a loro tutela e stando attenti a non cedere troppo facilmente i loro dati personali. In genere si preoccupano solo dopo che hanno subito delle violazioni. Delle violazioni che interessano gli altri non si preoccupano. Il che vuol dire che non c’è ancora una cultura della privacy».

Qual è il ruolo del Garante per la protezione dei dati personali nei tempi che stiamo vivendo e cosa può fare, o sta facendo, per sensibilizzare i cittadini?

«Il Garante opera in tanti modi: fissa le regole per un uso corretto dei dati, verifica che le norme del Codice Privacy vengano rispettate, applica sanzioni in caso di violazione, fornisce pareri su alcuni provvedimenti  normativi. Ma svolge da sempre anche una costante azione di sensibilizzazione e di “formazione” dei cittadini attraverso campagne di comunicazione istituzionale e la realizzazione di prodotti divulgativi anche multimediali sui diversi temi di interesse per le persone: dal cloud computing ai social network, dall’uso delle app agli smartphone, dalla sanità alla scuola, dal recupero crediti alla vita condominiale. Un particolare  impegno viene da sempre rivolto dal Garante ai giovani: l’Autorità ha organizzato e continua ad organizzare eventi con le scuole, dedicati in particolare ad un fenomeno grave come il cyberbullismo, e partecipa sempre molto volentieri ad incontri con gli studenti».

Ogni giorno ci muoviamo nel mondo digitale, tra App e social network. Ma il web è davvero così gratuito come sembra?

«Ormai è  chiaro che i social network hanno perso la loro nativa vocazione comunitaria e sono diventate delle imprese che fanno business. Così come è chiaro che la nostra navigazione online rimane tracciata e viene elaborata. Le opinioni che esprimiamo sul nostro profilo social, le abitudini, gli stili di vita, i gusti che riveliamo ogni volta che usiamo un motore di ricerca sono tutte informazioni preziose per costruire i nostri profili di consumatori, di lettori, di spettatori,  perfino elettori. Ogni volta che cediamo dati paghiamo con una parte di noi stessi».

Cyberbullismo e sexting, cosa potrà arginare questi fenomeni che riguardano un numero preoccupante di minorenni?

«La consapevolezza che, una volta online, un post  o un video diventano incontrollabili e possono rimanere per sempre in rete, causando danni irreparabili innanzitutto alla persona offesa, ma anche a chi si è reso colpevole di quel gesto. Le giovani generazioni devono preoccuparsi di quale sarà un giorno la loro reputazione online. Lo stesso discorso vale per il sexting: esporsi in foto hard, scambiare  e condividere un video hot è un gioco pericolosissimo che può avere esiti tragici. Una cosa mi sento di dover ricordare ai ragazzi: l’anonimato in rete non esiste. Se pensano che un nickname possa proteggerli dalle conseguenze di atti irresponsabili sbagliano di grosso».

Paola Buizza Brescia Oggi 20/04/2017
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