Non si possono installare sistemi di videosorveglianza, anche quando i lavoratori hanno prestato il consenso.

La Corte di Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 22148 del 08/05/2017, ha rigettato il ricorso presentato dal titolare di un negozio e ha confermato la pena di euro 600,00 di ammenda, già decisa dal tribunale di Terni, per il reato previsto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n.300 in relazione agli articoli 114 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e all’articolo 171 stessa legge nonché 38 della legge 300 del 1970.

Il caso. Il titolare di un negozio aveva installato all’interno dell’unità locale un impianto di video ripresa composto da due telecamere, collegate ad un dispositivo Wi-Fi e rete ADSL della Telecom Italia e monitor, in grado di trasmettere le immagini di ripresa a tale sistema, senza accordo stipulato con le rappresentanze sindacali e senza l’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro, a tutela della libertà e dignità dei lavoratori.

Ricorso. Condannato dal Tribunale di Terni al pagamento della sanzione di euro 600,00, il titolare propone ricorso alla Cassazione lamentando l’erronea interpretazione e la falsa applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, sull’assunto che delle due telecamere, installate presso la unità operativa, una consentiva le riprese all’interno del negozio di scarpe, ed esattamente in una zona adibita ad una specie di magazzino, mentre l’altra visualizzava direttamente le immagini di ripresa relative al luogo ove era situata la cassa di pagamento. In ogni caso, non poteva ritenersi la circostanza secondo cui sarebbe mancato il preventivo consenso dei lavoratori all’apposizione delle telecamere, richiamando la sentenza n. 22611 del 17/04/2012.

Interessi colletivi. La sentenza Banti, al fine di sostenere la portata esimente del consenso scritto prestato da tutti i lavoratori, la Cassazione ha ritenuto illogico negare validità ad un consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori, in quanto tale consenso deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti, posto che l’esistenza di un consenso validamente prestato da parte di chi sia titolare del bene protetto, esclude la integrazione dell’illecito. Pertanto, nel caso di specie, tutela degli interessi di carattere non individuale ma collettivo e superindividuale.

Proprio quest’ultima affermazione che, ad avviso del Collegio, non appare condivisibile.

Il comportamento tenuto dal titolare del negozio, oltretutto, integra anche un’ipotesi di condotta antisindacale, censurabile con il procedimento speciale di cui all’articolo 28 dello statuto dei lavoratori, ed è idoneo, sulla base di quanto insegna il Garante della privacy, a rappresentare un’ipotesi di illecito trattamento dei dati personali tramite videosorveglianza.

Jobs Act. Nella sentenza viene precisato che la nuova disposizione (art. 23, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151) ribadisce la necessità che l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) sia preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata.

Sulla base di quanto detto sopra la Cassazione ha ritenuto il motivo non fondato ed ha rigettato il ricorso.